Micetti vs Leoni

Una volta qualcuno ha detto che ogni tanto una donna deve saper fare l’uomo della situazione. Io pensai subito che fosse una cazzata. Il senso della frase era ampiamente condivisibile, ma perché bisognava dire “saper fare l’uomo“? La trovavo una cosa sessista. Una donna può dimostrare di essere forte senza per forza calarsi nel ruolo di un uomo. Bhé, anche questa era una cazzata. Si perché, citando mia madre in uno dei suoi monologhi più sferzanti, non si tratta di essere donne forti o meno. Qui la vita ti morde sul culo ogni cinque minuti e se non vuoi farti sbranare devi tirare fuori le palle.

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Che pensiero illuminante. D’un tratto una nuova prospettiva si delinea davanti ai miei occhi. Devo tirar fuori le palle! Si tratta solo di questo! Semplice no? Che ci vuole.. basta diventare un po’ più prepotente, un po’ più determinata, un po’ più indifferente, in definitiva un po’ più stronza. Capirai! E’ da una vita che tutti mi dicono che sono una stronza, parto avvantaggiata no? Che ci vuole. Oddio, è vero che non faccio altro che dispiacermi dei progressi che fanno gli altri mentre io sto annegando in una palude. E’ vero che non frequento più praticamente neanche una persona che conoscevo quando ero adolescente. E’ vero che quando torno al paese sento la ridicola necessità di farmi vedere in ghingheri, di evitare certe strade e fare finta di parlare al telefono se per sbaglio incontro qualcuno, di assecondare i consigli di mia madre di truccarmi un po’ di più e di vestirmi meglio mentre una corda si stringe sempre di più attorno al mio collo. E allora? Devo solo tirar fuori le palle! A quest’ora, se io fossi una donna con le palle, mi sarei buttata tutta questa montagna di merda alle spalle da anni, semplicemente riconoscendo il fatto che se non ho raggiunto gli obbiettivi che speravo di raggiungere a ventisei anni, che se non sono riuscita a mantenere i contatti con l’amica che consideravo mia sorella, che se ho sprecato i meglio anni della vita appresso a un coglione geloso e ignorante pseudo intellettualoide paranoico, che se non ho un vero solido rapporto con la mia famiglia è soltanto perché non ho avuto le palle per fare le scelte giuste. Non mi sono comportata da uomo. Ergo, non posso attribuire nessuno dei miei fallimenti a qualcuno che non sia io. Io sono totalmente, pienamente e irreparabilmente responsabile del fallimento delle mie aspirazioni.

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Per quanto cupa, questa nuova lente mi fa vedere tutto anche troppo chiaramente. Non mi resta che accettare questa nuova filosofia, che in realtà è più una triste constatazione, una specie di dogma matematico che sarebbe meglio applicare alle operazioni future. E allora forza Simò, be a man! Non puoi certo continuare così, d’altronde mentre le conversazioni al telefono con tua madre si fanno sempre più brevi e casuali di settimana in settimana, i suoi aforismi sull’inevitabilità delle cose si fanno sempre più diretti a te! Non puoi continuare a pensarla come hai sempre fatto. Oddio, è vero che nonostante i chilometri e gli anni di distanza sento ancora nelle orecchie le sue urla e i suoi lamenti rivolti contro mio padre per averle rovinato una probabile promettente carriera come psichiatra, traduttrice, insegnante universitaria. E’ vero che ad oggi se qualcuno mi chiedesse di mia madre potrei raccontare solo le difficoltà che ha dovuto affrontare nella vita, e che lei tante volte mi ha riportato come testimonianze di quanto la vita sia stata ingiusta nei suoi confronti. E’ vero che se faccio silenzio riesco ancora a sentire il rumore di mio padre che sbuffa in un modo inconfondibile. D’improvviso mi sorge il dubbio che questa storia di tirar fuori le palle sia solo una scusa per chiudersi nella negazione. Non sarà che tutti abbiamo vite difficili con storie difficili e persone difficili con cui fare i conti? Non sarà che tutti abbiamo qualcosa da recriminare, da rinfacciare, da rimpiangere? Nella mia mente mi guardo intorno e non ci sono mostri di autostima pronti a distruggere ostacoli e divorare obbiettivo su obbiettivo senza neanche prendersi il lusso di memorizzare le facce di chi resta indietro. Vedo solo un branco di micetti impauriti e tremanti, che si spremono per atteggiare un ruggito da leoni, che si interrogano sulle stesse questioni anno dopo anno, che si maledicono per essere incapaci e allo stesso tempo si consolano con quello che hanno, che si stringono nelle spalle quando uno sguardo si posa su di loro, che vivono sempre all’ombra degli altri. Nella mia mente li guardo e nessuno risponde al mio sguardo, tutti impegnati ad evitare la verità, a scaldarsi con una coperta di menzogne, a ripassare in silenzio il grande racconto del loro coraggio, di quando anche loro sono caduti e di come si sono rialzati, il loro vecchio discorso sull’importanza dell’avere successo e sull’importanza ancora più grande del far sapere di aver avuto successo. Li guardo e mi chiedo cosa vuol dire davvero tirar fuori le palle? E soprattutto, perché non la finiamo di darci addosso?  Un dialogo tratto da un famoso film potrà rispondere a questa domanda.

“[..]Queste sono le tue menzogne e le tue fragilità. Stefà, madre e donna, hai cinquantatré anni e una vita devastata, come tutti noi… Allora invece di farci la morale… di guardarci con antipatia… dovresti guardarci… con affetto… Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro… O no?”

Sveglia, non è una gara. Ognuno se la cava come può, ognuno sentirà prima o poi il bisogno di giustificarsi, di prendere le proprie parti per risollevarsi un po’ dalla tristezza. Anche quelli che ostentano le proprie certezze hanno, infondo al cuore, un posto dove vanno a dirsi la verità su sé stessi. Anche loro sentono la pressione. Forse avere le palle vuol dire solo essere sinceri.

S.

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